Scambio Figurine - Calciatori Panini - Cucciolotti - Preziosi  - Gedis  - Pizzardi

Buste inviate e ricevute

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CAT_IMG Posted on 15/3/2016, 09:56

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“Che le cose siano cosi, non vuol dire che debbano andare così. Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare. Ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi più che fare”. Giovanni Falcone


LANCIA UNA BORSA A TERRA E SCAPPA - LE REAZIONI DEI PASSANTI

http://video.viralizzato.com/scherzo-attac...co-pacco-bomba/

Edited by NATDAMA - 21/10/2016, 16:10
 
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CAT_IMG Posted on 8/4/2016, 11:55

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Se insisti e resisti, raggiungi e conquisti!




sfogliare.... il link che segue ....
http://alida.forumfree.it/?t=64374584

Edited by NATDAMA - 19/10/2016, 11:11
 
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CAT_IMG Posted on 8/4/2016, 12:24

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CAT_IMG Posted on 13/4/2016, 09:51

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CAT_IMG Posted on 13/4/2016, 11:37

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Se i brand si scrivessero come si leggono

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Belgio: fiera internazionale dei fiori a Bruxelles
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Cina, Hunan: la costruzione del ponte di vetro sul Grand Canyon
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CAT_IMG Posted on 13/4/2016, 14:25

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Il falso amico è come l'ombra che ti segue finchè dura il sole !

Se ho un piccolo rimpianto, certamente è stato quello di aver fatto sentire importanti persone che non meritavano assolutamente di esserlo.
 
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CAT_IMG Posted on 15/4/2016, 14:12

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CAT_IMG Posted on 19/4/2016, 10:49

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Il papero che non sapeva nuotare..papero3-300x217
Fred era un paretotto dal pelo giallo, il becco giallo e le zampine gialle. Viveva vicino ad un laghetto, con la mamma papera, il papà papero e una serie numerosa di fratellini e sorelline paperotti.
Ma Fred aveva un problema: odiava l’acqua!
Al mattino presto la mamma lo svegliava assieme a tutti i suoi fratellini e tutti felici si tuffavano nel laghetto gelido per nuotare… tutti tranne Fred!
Lui si avvicinava al bordo del lago, con una zampetta toccava appena l’acqua e BRRRR! Che freddo! – Mamma voi andate pure, diceva, io vi raggiungo più tardi! –
Invece non li raggiungeva mai. Solo l’idea di infilarsi dentro a quel liquido gelido lo disgustava. Di prima mattina poi! Con ancora le piumette calde di nido!
Non era solo il problema dell’acqua fredda, era anche il fatto che il lago era scuro e fondo e a lui faceva paura. Fred non aveva mai mai mai e dico proprio mai imparato a nuotare.
Il papà lo osservava preoccupato, e pensava: – Come farà a sopravvivere il mio piccolo Fred se non impara a nuotare? – Già, perchè si è mai vista una papera che non nuota?
Papà papero prese una decisione: avrebbe insegnato a nuotare a Fred ad ogni costo!
Così il giorno seguente andò nel negozio degli umani e comprò un piccolo salvagente a forma di cigno, lo gonfiò e ci fece salire sopra Fred.
– Non preoccuparti figliolo, io ti starò accanto, vedrai quante cose belle ci sono nel lago e non ne avrai più paura! –
Fred salì sopra al suo piccolo salvagente, in questo modo non si bagnava le piumette, e non aveva freddo, poteva toccare l’acqua con la zampina palmata se ne aveva voglia e il suo papà gli stava vicino vicino e lo spingeva con amore nel lago: così lui non aveva paura.
Quante cose nuove vide quel giorno, nel lago c’erano dei fiori colorati che galleggiavano, delle alghe verdi e rosse che salivano fin in superficie, dei pesciolini colorati che guizzavano nell’acqua e al centro del lago c’era anche un isolotto dove crescevano dei cespugli con delle bacche deliziose da mangiare. Fu proprio nell’isolotto che incontrò la mamma e i suoi fratellini, e non vi dico che festa e che felici erano tutti di vedere Fred finalmente con loro. Le sorelline di Fred chiesero anche se potevano usare anche loro il salvagente!
Così un po’ alla volta, giorno dopo giorno, Fred iniziò a seguire la sua famiglia nel lago tutte le mattine, e un po’ alla volta il papà gli insegnò anche a nuotare: prima dentro ad una grande pozzanghera, poi sulla riva del lago ed infine Fred diventò un perfetto nuotatore!

Quando gli uomini sapranno volare
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Storia di fantasia
Questa storia non comincia come tutte le altre storie con c’era una volta, già, perchè in realtà questa volta non c’è ancora stata. E’ una storia ambientata infatti nel futuro, ma tanto tanto futuro, quando gli uomini sapranno già volare, ma senza gli aeroplani o gli elicotteri, e razzi spaziali. Semplicemente apriranno le braccia, si daranno una bella spinta sulle ginocchia e via! Più veloce della luce, con il vento tra i capelli, senza bisogno di caschi e cinture di sicurezza, perchè in questa volta che vi voglio raccontare, la sicurezza sarà al primo posto per tutti, non ci saranno incidenti e scontri aerei, perchè tutti saranno prudenti e rispettosi degli altri.
In questa volta i bambini potranno anche giocare in mezzo alla strada, addirittura in mezzo all’autostrada! Perchè di automobili, camion, furgoni e bus non ci sarà assolutamente più bisogno. E un po’ alla volta le strade d’asfalto scompariranno, perchè gli uomini non ne avranno più bisogno, perchè cammineranno solo per rilassarsi e passeggiare, e quindi preferiranno passeggiare in mezzo alla natura e non sul marciapiede.
Le mamme e i papà non lavoreranno più così tanto, perchè sapendo volare potranno fare tutto più velocemente e quindi avranno un sacco di tempo libero da trascorrere con i loro bambini, per insegnargli a volare, a sognare e a divertirsi. Stare all’aria aperta sarà meraviglioso, perchè una volta spariti tutti i mezzi di trasporto e le fabbriche che li producono l’aria sarà pulita e profumata e di nuovo si sentirà il profumo dei fiori, dell’erba appena tagliata e dell’acqua di sorgente. Sarà come vivere in vacanza per sempre. Anche le maestre a scuola porteranno i bambini in gita tutte le settimane, perchè con un voletto veloce potranno raggiungere tutte le fattorie, i musei e i parchi divertimento del mondo!
Ci saranno nuovi lavori divertenti, come ad esempio lo scultore di nuvole, il trasportatore di venti e il soffiatore di stelle, e il lavoro non mancherà più per nessuno, perchè di nuvole, venti e stelle ce ne sono tantissimi per tutti!
Spero tanto che questa volta di cui vi ho raccontato, dove gli uomini sanno volare, non arrivi tra tanto tanto tempo. Per il momento chiudiamo gli occhi, facciamo la nanna e sogniamo di andare a mangiarci un bel gelato seduti su di una nuvola lassù !

Il Paese senza Dolci..torta-di-compleanno-240x300
C’era una volta, nella fredda Germania del Nord, un piccolo paesino isolato dal resto del mondo.
Gli abitanti del luogo erano molto legati alle tradizioni, proprio perchè non avevano contatti col mondo esterno.
Il conte Haider era l’unico nobile del paese e in quanto tale era l’unica persona colta, perchè aveva potuto studiare. Per questo motivo era stato eletto sindaco. Purtroppo aveva perso la moglie e da quando era rimasto solo era diventato molto burbero e intransigente. Gli abitanti dovevano rigorosamente rispettare tutte le sue decisioni! Non c’era democrazia. La cosa più assurda era che in questo paese non c’erano pasticcerie! Nemmeno nelle case si potevano fare dolci! Lo aveva proibito il conte dopo la scomparsa della moglie, la quale era morta per una indigestione di pasticcini. Quella terribile vicenda gli aveva fatto perdere la ragione. Gli abitanti non avevano la forza di ribellarsi alla sua autorità perchè comunque gli erano affezionati e si ricordavano che prima del lutto lui era una cara persona, con un cuore buono.
Un giorno con il vento fortissimo del Nord giunse in paese un pellegrino, che cercava una dimora. Il conte non amava i forestieri perchè aveva paura che potessero turbare l’apparente tranquillità di quel luogo. Comunque non gli negò ospitalità. Combinazione quell’uomo per vivere faceva il pasticcere! Senza sapere delle leggi del conte Haider, il pellegrino incominciò a fare dolci per ricambiare l’ospitalità. Quando il conte lo venne a sapere andò su tutte le furie e cacciò immediatamente il forestiero dal paese! Gli abitanti erano tristi e stanchi per l’intransigenza del conte. E’ vero che i dolci non erano indispensabili all’alimentazione, ma come si poteva pensare di festeggiare un compleanno soffiando sulle candeline di una torta fatta di crauti e patate? Inoltre i bambini non mangiavano più dolci da così tanto tempo che ormai preferivano saltare la merenda! Niente torte, pasticcini, cioccolatini, caramelle… Il pellegrino non si diede per vinto e decise di parlare con le persone per trovare una soluzione. Insieme decisero di organizzare una festa a sorpresa per il conte; una festa a base di dolci. Così fu. Con una scusa banale, invitarono il conte nella casa più grande del paese addobbata con festoni, palloncini e nastri colorati; quando entrò rimase impietrito! Non si aspettava tutto questo… Bastò un applauso, un gesto d’affetto e una canzone per fare tornare il sorriso a quell’uomo, che aveva tanto sofferto… Il conte non disse una parola, nessuno gli aveva più fatto una torta da quando la sua amata era volata in cielo. Guardò commosso i suoi compaesani e li abbracciò ad uno ad uno pieno di gratitudine. Da quel giorno il conte decise di istituire la festa del dolce! E di nuovo tornò al suo buon carattere di sempre! Ancora oggi i pellegrini di tutto il mondo si fermano in quel paese, per la “festa del dolce” e per assaggiare le prelibatezze della pasticceria “Il pellegrino”.
– Fiaba tedesca leggermente rivisitata-

Il cavallo e il fiume..puledro-300x232
Un cavallino viveva nella stalla con la madre e non era mai uscito di casa, né si era mai allontanato dal suo fianco protettivo.
Un giorno la madre gli disse: “E’ ora che tu esca e che impari a fare piccole commissioni per me. Porta questo sacchetto di grano al mulino!”
Con il sacco sulla groppa, contento di rendersi utile, il puledro si mise a galoppare verso il mulino.
Ma dopo un po’ incontrò sul suo cammino un fiume gonfio d’acqua che fluiva gorgogliando.
“Che cosa devo fare? Potrò attraversare?”
Si fermò incerto sulla riva.
Non sapeva a chi chiedere consiglio.
Si guardò intorno e vide un vecchio bue che brucava lì accanto.
Il cavallino si avvicinò e gli chiese:
“Zio, posso attraversare il fiume?”
“Certo, l’acqua non è profonda, mi arriva appena a ginocchio, vai tranquillo”.
Il cavallino si mise a galoppare verso il fiume, ma quando stava proprio sulla riva in procinto di attraversare, uno scoiattolo gli si avvicinò saltellando e gli disse tutto agitato: “Non passare, non passare! È pericoloso, rischi di annegare!”
“Ma il fiume è così profondo?” Chiese il cavallino confuso.
“Certo, un amico ieri è annegato” raccontò lo scoiattolo con voce mesta.
Il cavallino non sapeva più a chi credere e decise di tornare a casa per chiedere consiglio alla madre.
“Sono tornato perché l’acqua è molto profonda” disse imbarazzato “non posso attraversare il fiume”.
“Sei sicuro? Io penso invece che l’acqua sia poco profonda”replicò la madre.
“E’ quello che mi ha detto il vecchio bue, ma lo scoiattolo insiste nel dire che il fiume è pericoloso e che ieri è annegato un suo amico”.
“Allora l’acqua è profonda o poco profonda? Prova a pensarci con la tua testa”.
“Veramente non ci ho pensato”.
“Figlio mio, non devi ascoltare i consigli senza riflettere con la tua testa. Puoi arrivarci da solo. Il bue è grande e grosso e pensa naturalmente che il fiume sia poco profondo, mentre lo scoiattolo è così piccolo che può annegare anche in una pozzanghera e pensa che sia molto profondo”.
Dopo aver ascoltato le parole della madre, il cavallino si mise a galoppare verso il fiume sicuro di sé.
Quando lo scoiattolo lo vide con le zampe ormai dentro il fiume gli gridò:
“Allora hai deciso di annegare?”
“Voglio provare ad attraversare”.
E il cavallino scoprì che l’acqua del fiume non era né poco profonda come aveva detto il bue, né troppo profonda come aveva detto lo scoiattolo.
– Fiaba della tradizione cinese –

http://storiedellabuonanotte.com/passatemp...hieri-plastica/
 
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CAT_IMG Posted on 21/4/2016, 14:11

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Cristiana Capotondi dice ….
Mi piace l’immagine della ghianda, che è indifesa, potrebbe essere calpestata o portata via dal vento… Eppure, ogni ghianda ha la potenzialità di diventare una quercia.

Oggi, so che se un uomo non ti fa stare bene, non vale la pena tradirlo, vale la pena cambiare.


I parchi più belli d'Italia
http://www.iodonna.it/lifestyle/viaggi/201...lick=obinsource


20 regole per far durare un amore
Se negli anni Cinquanta il matrimonio durava tutta la vita, oggi, secondo le statistiche, non supera i 19 anni. Troppe coppie scoppiano perché incapaci di comunicare. Con l'aiuto dell'esperta, ecco 20 strategie per imparare a parlarsi e stare insieme a lungo, senza farsi male

Immaginate la scena: interno giorno, nella casa di una coppia qualunque.
Lui (amabile): «Tesoro, questo vestito ti sta benissimo».
Lei (torva): «Cos’è successo? Sono mesi che non mi fai un complimento».
È chiaro che l’intera giornata prenderà una piega storta.
Invece, se lei avesse ricambiato la carineria sorridendo, sarebbe stata primavera tutto il giorno.

Ludivica Scarpa, psicologa.
«L’amore è una forma speciale di comunicazione e a volte diventa la catastrofe della comunicazione», dice Ludovica Scarpa, che insegna Teorie e Tecniche della comunicazione interpersonale allo Iuav, l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, ed è autrice di diversi libri sulla psicologia della comunicazione, come Volersi bene senza farsi male (Mondadori).
Quante volte abbiamo sentito dire che “uomini e donne non si capiscono”? Peggio, che “sono destinati a non capirsi”? Quando, di recente, si è scoperto che il cervello degli uomini e quello delle donne funziona diversamente, la già nota parolina-chiave “incomunicabilità” è stata consacrate facile tomba dell’amore.
Se negli anni Cinquanta il matrimonio durava tutta la vita, oggi, dati Istat alla mano, dura 19 anni. A resistere, però, sono soprattutto le unioni di vecchia data, quelle di generazioni nate in tempi in cui il divorzio non esisteva. Oggi, invece, ci si lascia anche solo dopo 18 mesi di matrimonio, e l’età media delle neoseparate è di appena 42 anni. Negli ultimi vent’anni, le separazioni sono raddoppiate. Sono indicatori di qualcosa che già tutti sanno: far durare un amore è diventato terribilmente difficile. Le cause sono tante, e una riguarda proprio la difficoltà a comunicare. Nessuno ci insegna come parlare agli altri per incontrarli davvero. Con la professoressa Scarpa, abbiamo provato a stilare venti consigli per far funzionare a lungo la coppia.
1. Guardare prima le qualità poi i difetti. Il partner è sempre in ritardo? Si dimentica anniversari e compleanni? Ha le mani bucate o è tirchio? Ha sempre la testa per aria? Non è ambizioso oppure è un carrierista che trascura la famiglia per il lavoro? La lista delle lamentele possibili su qualcuno con cui dividiamo la vita da anni può essere lunga, ma non va compilata. «Siamo tutti vittime della percezione selettiva: siamo sensibili soprattutto a ciò che non va bene e diamo per scontato ciò che funziona e le doti che l’altro ha», spiega la professoressa Ludovica Scarpa. «Bisogna ragionare al contrario, prima di dirsi: mio marito non aiuta in casa, bisogna dirsi che è straordinariamente affettuoso».
2. Coltivare la stima. Se ci sembra che la persona con cui dividiamo la vita non sia abbastanza, stiamo ponendo le basi affinché l’amore si schianti. «Tutti noi abbiamo priorità e obiettivi diversi», spiega la Scarpa. «Un esempio: essere in carriera non è un valore positivo in sé, se questo significa disinteressarsi della coppia. Bisogna tenerlo presente quando critichiamo un partner perché è poco ambizioso. Guardando la situazione senza pregiudizi, ci potremmo rendere conto che non è un carrierista, però è una persona che ama trascorrere del tempo con noi».
3. Mai affibbiare un’etichetta. Quante volte abbiamo detto, con fare accusatorio, “tu sei…”? Tu sei egoista. Tu sei sempre in ritardo… «Tutte le volte che incaselliamo una persona, inchiodandola a un difetto, l’allontaniamo da noi, spingendola contro un muro», spiega la Scarpa, «più che dire “sei un disordinato” dovremmo spiegare con pazienza e, magari sense of humor, perché abbiamo bisogno di vivere nell’ordine, quindi chiedere qual è la percezione dell’ordine e del disordine che ha l’altro».
4. Non far dipendere la nostra felicità dal partner. Pretendere che la nostra felicità dipenda da qualcun altro è un ingenuità. «Rende la relazione pesante», precisa la professoressa Ludovica Scarpa, «il mondo non può adeguarsi ai nostri desideri, perciò bisogna guardare con benevolenza alla persona con cui stiamo, riconoscendo che, come tutti, fa quel può, non quello che noi vorremmo».
5. Non tenere la contabilità dell’amore. «L’amore è un dono che si fa all’altro, non un investimento», spiega la Scarpa, «non possiamo fare il calcolo di ciò che deve esattamente tornarci indietro». Questo genere di conti investe valori estremamente soggettivi, e non torna mai.
6. Non pretendere sesso a prescindere. «Le relazioni che durano a lungo sono basate più sull’amicizia e la solidarietà che sulla passione e l’attrazione non funziona a comando», dice la Scarpa. «Se pretendi, l’altro ti percepisce come richiedente e si ritrae. È una legge della fisica: se qualcuno ti spinge, tu ti sposti. È meglio invece essere attivi, propositivi, generare situazioni di gioia e di piacere e anche di distanza: avere una serata libera in cui ognuno esce con i suoi amici avvicina».
7. Mai mettere l’altro sotto accusa nel sesso. Dirgli che a letto pensa solo a se stesso, o che è pigro, poco appassionato, poco fantasioso e via così non è una buona idea. «Molto meglio esprimere i propri desideri, un “mi piacerebbe questo o quest’altro”, senza addossare colpe o pecche», spiega l’esperto di comunicazione interpersonale. «Questo discorso vale soprattutto per gli uomini. Per loro, il sesso è un tema delicato ed è facile sentirsi sotto accusa e provare ansia da prestazione».
8. Mai dire “ho bisogno di te”. «È una frase che ci fa sentire in trappola. Pensi subito al gatto che ama tanto il topo e t’immedesimi nella fine del topo», dice la Scarpa, che spiega: «Se abbiamo bisogno di essere amati, per non star male, risultiamo subito minacciosi per la libertà dell’altro. Non vi è frase meno romantica e più deprimente di “ho bisogno di te”, frase che rende indesiderabile chi la pronuncia e crea tensione e preoccupazione in chi subisce un’aspettativa tanto alta».
9. Vietato dire “ho ragione io”. Da una discussione su chi ha torto e chi ha ragione possono nascere accuse incrociate particolarmente infelici, perché alimentate dalla foga del momento. «Ognuno di noi è un mondo a sé e legge la realtà con le sue priorità. Si può tenere il punto, ma con una modalità interlocutoria e mantenendo la calma», spiega la Scarpa, «Basta partire con la parolina magica “capisco”: sai, capisco che tu la vedi in maniera diversa, ma anch’io sono convinta…».
10. Mai far leva sul senso di colpa. Molti pensano che far sentire in colpa per il partner per qualcosa che ci ha infastidito o ferito abbia il vantaggio di renderlo più docile. Il che è vero solo all’apparenza. «Far pagare all’altro un prezzo emozionale per quello che ci ha fatto è un gioco di potere fallimentare che ci rende fonte di emozioni negative e quindi, alla lunga, di insofferenza. Questo non significa che non bisogna esprimere le proprie emozioni, ma che bisogna spiegarle», assicura la Scarpa. Si può dire “se fai tardi mi spiace perché ci tengo a cenare con te”, ma non: “Hai fatto tardi, ho cenato da sola, sono stata tristissima, mi ha fatto perdere invece una cena piacevole con le amiche”».
11. Mai assolutizzare i comportamenti. «Se dico “per una volta potresti lavare i piatti”, sto sottintendendo che di solito devo fare tutto io e carico immediatamente la discussione del peso di molte discussioni arretrate, sto provocando, sto accusando l’altro, ed è chiaro che lo sto spingendo a litigare», spiega la Scarpa.
12. Non aspettarsi reazione da azione. «I nostri desideri non sono ordini e non possiamo aspettarci che qualcuno ci ami come vogliamo noi. Infatti nessuno dice “ti voglio bene come mi hai ordinato». Se abbiamo aspettative troppo precise, fatalmente l’altro le tradirà, seppure a sua insaputa.
13. Disinnescare la gelosia. Spiega la professoressa: «Chi è geloso o possessivo ha un problema di cui dovrebbe occuparsi. Ma se ce l’ha, per disinnescarlo nell’immediato, consiglio di usare la comunicazione non violenta, cioè un sistema descrittivo, spiegando cosa vediamo, cosa sentiamo e di che cosa abbiamo bisogno. Esempio: “Cara, mi spiace e mi pesa molto doverlo ammettere, ma quando vedo che guardi il vicino di casa negli occhi, mi preoccupo e mi sento in ansia, perché io ho davvero bisogno di sapere che la nostra è una relazione solida…” Il che è molto meglio di una scenata e apre la possibilità di un confronto più sereno».
14. Baciare il rospo. Avete presente la favola del rospo che diventa principe quando la principessa lo bacia? Ha un suo senso, secondo la Scarpa: «Siamo noi con il nostro modo di vedere che rendiamo principe il rospo. Se gli vogliamo bene per quello che è, lo vediamo bellissimo».
15. Rinnovare la nostra scelta come nel matrimonio celtico. Spiega la Scarpa: «Nel rito celtico, gli anniversari sono l’occasione per rinnovarsi la promessa d’amore, come mettere un bollo sulla patente. I due si guardano negli occhi e si chiedono se vogliono risposarsi. È un ceck benevolo, e ha il vantaggio immediato di rendere entrambi più gentili nelle due settimane precedenti, in preparazione al momento in cui il proprio comportamento sarà sottoposto al voto».
16. Evitare stereotipi granitici. Bisognerebbe diffidare del verbo “dovere”: “la famiglia deve essere unita”, “i mariti devono essere collaborativi”, “nell’amore deve esserci la passione”… «Il confronto fra l’ideale e il reale uccide il rapporto», spiega la prof, «costringe l’altro a confrontarsi con qualcosa di astratto, lo fa sentire svalutato e non letto nelle sue buone intenzioni».
17. Dare per scontate le buone intenzioni. La diffidenza rovina anche le coppie più belle, molti per paura, insicurezza, tendono a non credere all’altro fino in fondo. «Ma se sei malevolo, sei il primo a non volere bene e illumini male la coppia. Se non ti fidi, l’altro non si sente accettato, sarà nervoso, non darà il meglio di sé».
18. Mai lasciare spazio al rancore. Lo psicologo Eric Berne diceva che il rancore funziona come la raccolta punti: «Ogni volta che stiamo zitti, tacendo su un comportamento dell’altro che non ci piace, accumuliamo “punti”. Quando la raccolta è colma, siamo pronti a esplodere in una scenata epocale, scatenata all’apparenza da poco o nulla», spiega la Scarpa. Tacere, dunque, non si può. Si può dire tutto, se lo si dice nel modo giusto: «Se lui non si accorge che sono stata dal parrucchiere, puoi dirgli, sorridendo: “Pensavo di farmi rossa a pois gialli per farti una sorpresa e farti notare che ho tagliato i capelli”. Ma, prima di tutto, bisogna ricordarsi che l’attenzione altrui funziona diversamente dalla nostra. È possibile, in linea teorica, che lui non noti i nostri capelli perché guarda i nostri occhi».
19.
Non discutere mai quando si è arrabbiati. Quando siamo arrabbiati possiamo dire e fare le peggiori cose: offendere, dire quello che non pensiamo, rompere piatti contro il muro… Cose altamente sconsigliabili. «Bisogna fermarsi prima, e calmarsi», raccomanda la prof, «se urli è come stropiacciare un fogli di carta. Dopo, puoi stirarlo, ma non torna nuovo. Hai dato all’altro l’esperienza di vedere quanto puoi essere anche spaventoso e quell’immagine non lo lascerà più».
20. Imparare a scusarsi. Siamo tutti imperfetti e ammetterlo aiuta, specie ammetterlo con chi ci ama. «Ci scusiamo quando ormai il danno è fatto, ma le scuse sono l’occasione per riflettere insieme su cosa è successo, il momento in cui esprimiamo quanto è importante per noi il rapporto con la persona con cui ci scusiamo», osserva la Scarpa. «Nello scusarsi, viviamo un caso evidente del potere delle parole: con esse arginiamo un danno, che resta, ma cambia nei significati che assume per le persone coinvolte. Se riusciamo anche a esprimere il nostro desiderio di rimediare, le scuse possono diventare un’occcasione di crescita per il rapporto».

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20 aprile 2016
Adolescenti in viaggio da soli: 10 regole per genitori (e figli)
I consigli del pedagogista e fondatore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti per gestire i primi viaggi in solitaria dei propri figli

Al mare (o in montagna) con mamma e papà? Non se ne parla. Prima o poi il momento del rifiuto arriva per tutti: l’adolescenza incombe, con i suoi tumulti, e tra gli effetti più conclamati c’è la richiesta pressante, da parte dei ragazzi, di trascorrere le vacanze da soli. Può essere già accaduto che abbiano dormito fuori casa, anche più piccoli, in occasione di una gita scolastica o di un campo estivo. Ma come affrontare questa richiesta d’indipendenza nella fase più imprevedibile della loro vita?
Ce lo spiega Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti: «La dimensione del viaggiare in autonomia è un modo per cominciare a conoscere i loro limiti e le risorse che hanno a disposizione, conoscere nuove città, lingue diverse, altre persone. Il viaggio, in questo senso, conta quasi quanto andare a scuola».
Ma in che modo? «Non certo come dei quarantenni con una piena libertà di scelte, di budget e di spostamento -, avverte Novara -. È necessario aiutarli e, come sempre, negoziare per arrivare a una soluzione che sia anche occasione di crescita», avverte l’esperto.


Adolescenti pigri: 5 consigli per motivarli nello studio
Divisi tra smartphone e divano, molti ragazzi hanno messo lo studio all'ultimo posto. Ecco come aiutarli a ritrovare l'interesse verso l'apprendimento

Ragazzi svogliati e demotivati. Figli che passano le giornate non più sui libri, ma su tablet e smartphone. Privi di interessi verso l’apprendimento, non si impegnano nello studio e di conseguenza a scuola ottengono risultati insufficienti. L’inattività dei ragazzi è un problema comune a molti genitori. A dirlo sono anche i risultati del recente rapporto Save the Children Illuminiamo il futuro 2030 – Obiettivi per liberare i bambini dalla Povertà educativa.
Il 48,4% dei ragazzi di età compresa tra i 6 e i 17 anni nel 2014 non ha letto neanche un libro e rispettivamente il 69,4% e il 55,2% non ha visitato un sito archeologico e un museo. Il 25% dei quindicenni è carente in matematica. Uno su 5 lo è nella lettura. Dati e numeri che offrono uno spaccato degli adolescenti di oggi, sempre più pigri e lontani da impegno e fatica.
«Ai ragazzi- spiega lo psicologo Iacopo Casadei, autore del libro A Scuola. Come incoraggiare nei figli la motivazione, l’impegno e l’autonomia nello studio, edito da Red Edizioni- non mancano gli stimoli. Molte famiglie fanno del loro meglio per avvicinare i figli alla lettura o ad altre attività culturali o sportive, ma quello che rende tutto più difficile è la sovrabbondanza di alternative più facili alle quali i ragazzi hanno quotidianamente accesso: iPad, televisione, videogiochi e persino tutta quella serie di impegni come compleanni, pomeriggi al parco a tema, ecc. organizzati dagli stessi genitori».
Ciò che serve ai ragazzi invece suggerisce l’esperto è «un po’ di sana noia, quella che spinge a guardarsi dentro alla ricerca dei reali interessi o a prendere in mano un libro». «Purtroppo – spiega Casadei – i genitori tendono ad essere sempre meno esigenti nei confronti dei figli. Esitano a chiedere loro un piccolo contributo quotidiano come rifare il letto, lavare i piatti, ecc. o non hanno il coraggio di indurli ad alzare l’asticella dell’impegno o del senso di responsabilità. Genitori che si sacrificano per fare al posto dei figli, a volte persino i compiti di scuola, dimenticano che in questo modo fanno perdere ai loro ragazzi la straordinaria possibilità di imparare a ottenere sempre qualcosa in più da se stessi».
Per esempio un sano senso di responsabilità germoglia fin da quando i genitori attribuiscono al ragazzo la responsabilità dei propri risultati scolastici, evitando di scaricare la responsabilità sugli insegnanti. La capacità di resistere alle vicissitudini della vita nasce fin da quando i genitori, con pazienza, aiutano i figli a rialzarsi e a non abbattersi dopo le prime difficoltà scolastiche. Uno sviluppo armonico del carattere, e soprattutto educare i tratti che hanno un influsso positivo, come la tenacia, la costanza, la metodicità dello sforzo, risulta alla fine dei conti il miglior modo per far fruttare la stessa intelligenza».
Il rendimento a scuola, infatti, non è solo questione di talento. «La convinzione che le capacità, non solo scolastiche, siano innate- dice Casadei – è falsa. Fino a quando questo pregiudizio non verrà eroso, molti giovani continueranno a venire ostacolati o dissuasi a coltivare ambizioni che sono in realtà perfettamente realizzabili, a condizione che vengano fornite sufficienti opportunità e che venga assicurato il necessario sostegno e incoraggiamento».
E in questo i genitori hanno un ruolo fondamentale. «A volte – spiega l’esperto – si tratta di rivedere le aspettative e gli obiettivi, facendo sentire il ragazzo maggiormente gratificato. In altre circostanze bisogna invece riuscire ad imporsi con maggiore fermezza e indurre il ragazzo ad alzare l’asticella dell’impegno quotidiano, ponendo limiti, regole e restrizioni. Lavorare sulla motivazione è importante, ma quanti genitori ribadiscono quotidianamente ai loro figli l’importanza della scuola senza ottenere risultati? A un certo punto occorre anche spingere i figli ad agire, lavorando insieme a loro se necessario o utilizzando punizioni e gratificazioni, e la motivazione verrà di conseguenza con l’abitudine all’esercizio o come risultato di un lavoro ben svolto che dà soddisfazione anche al ragazzo».

Ma in che modo incoraggiare gli adolescenti a ritrovare la giusta motivazione nell’impegno quotidiano e lo stimolo nell’apprendimento? Ecco cosa suggerisce lo psicologo Iacopo Casadei.
L’obiettivo deve essere l’impegno
I genitori non devono porre ai figli obiettivi in termini di prestazione scolastica e di voti, ma viceversa esclusivamente in termini di impegno. Bisogna chiedere ai ragazzi di lavorare con concentrazione, di sforzarsi di apprendere, di dedicare alle attività scolastiche il giusto tempo, nient’altro. Porre limiti, se necessario allontanando ogni distrazione, rimane un caposaldo dal quale non si può prescindere. Soprattutto ad un’età, quella adolescenziale, in cui se un ragazzo non ha già maturato una spiccata coscienziosità farsi distrarre è molto facile.
No alla ricerca del talento a tutti i costi
In famiglia bisogna abituarsi ad utilizzare un linguaggio che valorizzi il lavoro e il sacrificio, anziché andare all’ossessiva ricerca di un qualche presunto talento precoce, una tendenza nociva della società attuale. Di fronte a un compito di matematica ben svolto, ad esempio, bisogna evitare definizioni come “sei stato bravo” o “ in questa materia sei un asso”. E’ importante invece gratificare i ragazzi dicendogli “hai lavorato con impegno”, “hai imparato”.
Trasformare l’imposizione in opportunità
Valorizzare l’apprendimento quotidianamente, anche con il buon esempio è fondamentale. Imparare ogni giorno cose nuove costituisce davvero un’opportunità da di vivere quotidianamente insieme ai figli, leggendo insieme a loro, insegnandogli ad esempio a coltivare l’orto o praticando un’attività istruttiva. Coltivare l’equilibrio interiore e la serenità dei figli è parimenti importante. Se la scuola è un problema, diventa giocoforza importante mollare la presa su altri aspetti, meno importanti, altrimenti si rischia di vivere un conflitto ininterrotto. Allo stesso modo quando si pongono dei limiti non bisogna ricorrere contemporaneamente al ricatto emotivo o mostrare eccessiva durezza.
Stimolarli con interessi diversi
Aiutare un ragazzo a coltivare anche interessi diversi da quelli scolastici, soprattutto se la scuola non gli piace, può costituire un importante terreno di maturazione parallelo e complementare, dove poter apprendere e capire che attraverso l’entusiasmo e l’impegno si possono realizzare e raggiungere degli obiettivi.
Punizioni e premi solo se necessari
Un rapporto positivo con lo studio si costruisce valorizzando l’istruzione e il rapporto con scuola e insegnanti, abituando il ragazzo alla concentrazione e all’impegno, ponendo le basi di una buona organizzazione nel lavoro scolastico e coltivando in lui il giusto atteggiamento mentale. Mentre si fa tutto questo, si può ricorrere anche a premi e punizioni, solo però se necessari. Ma se in loro manca la giusta motivazione, punire o premiare rischia di servire a poco. In ogni caso, si punisce o si premia sempre il lavoro, l’impegno o la concentrazione, mai i risultati mancati o raggiunti.

16 aprile 2016
I giovani: niente discoteche, meglio il divano
Prezzi alti, problemi di sicurezza. Il sabato sera i ragazzi preferiscono stare a casa. Insieme a pochi amici reali o lanciandosi in avventure digitali

Lo sai quante volte mi hanno detto che ero bravo in vita mia? Due volte! Due ca**o di volte! L’aumento di oggi e sulla pista… La pista da ballo in discoteca! Tu col ca**o che me l’hai mai detto! (La febbre del sabato sera).
Era il 1977, e il 19enne Tony Manero, garzone dal futuro incerto, in un colorificio a Brooklyn, viveva per quelle serate al 2001 Odyssey, quando si trasformava in re. Per Manero, la discoteca era l’unica chance per diventar qualcuno e fargliela vedere; anche a suo padre, disoccupato ma orgoglioso. Pochi anni dopo, in The Last Days of Disco (1998), ambientato nei primissimi Ottanta, era già tutto cambiato. Quei “Riti tribali del nuovo sabato sera”, del reportage del New York Magazine che avevano ispirato La febbre, ormai sbiaditi. «I nostri corpi non sono fatti per la socialità di gruppo» faceva dire il regista Whit Stillman al gestore Des McGrath. «L’invasato da nightclub non è una categoria professionale. Yuppies: giovani, in carriera, professionisti. Quelli dovremmo essere».
La Spoon River dei locali
Oggi le discoteche sono morte. Fallite, demolite. Un’inchiesta dell’Economist, a gennaio, snocciolava i dati della crisi. In Olanda, tra il 2001 e il 2011, ha chiuso il 38 per cento dei locali; in Gran Bretagna, delle 3.144 sale del 2005 ne sono rimaste 1.733, e si è speso per ballare 500 milioni di euro in meno negli ultimi cinque anni. Se Berlino resiste e tira ancora tardi, l’Italia, patria di Rimini e Riccione, conta ormai appena 2mila discoteche, contro le quasi 5mila di 11 anni fa. Memories on a dancefloor, come il blog che è la Spoon River dei locali della notte anni Novanta. Così a New York il CBGB è diventato una boutique, lo Studio 54 un teatro, il 2001 Odyssey un ristorante cinese. E l’Istat britannico quest’anno ha elimin-9ato il prezzo del biglietto di una serata in discoteca dal paniere per calcolare l’inflazione. Abusivismo, droghe, lamentano i gestori, la concorrenza di pub e cocktail bar. Ma sarà tutto qui?
Su Tinder ci si incontra di più
Il Guardian ha pubblicato i risultati di un’indagine sul rapporto tra i ventenni e “la disco”, e se alcuni citano nightclub che chiudono proprio quando iniziavi a divertirti, i più dipingono una realtà diversa, di crisi economica e prezzi troppo alti, ma anche paura di uscire e ossessione social. Perché oggi i giovani s’incontrano su Tinder, e il 66,8 per cento preferisce rilassarsi a casa propria. «Tra bevande e taxi, la discoteca costa quasi quanto un weekend fuori» spiega una 21enne. «Perché venir schiacciati in sale fumose e sudaticce, con la musica che ti sfonda i timpani e gente sempre uguale, se puoi passare una serata più soddisfacente a casa, spendendo molto meno? Tanto più che la gita fuori porta rende meglio su Instagram».
I dj troppo protagonisti
Anche la musica, dicono, è molto peggiorata. Con dj protagonisti, che mettono ciò che piace a loro invece che ai clienti. E poi sporcizia, furti, buttafuori aggressivi. Non è che non si vada più a ballare, ma preferiscono un festival, la musica dal vivo. Soprattutto, le discoteche sono impersonali. «Non si può parlare, gli amici se ne vanno senza dirtelo: passi la serata a cercare le persone con cui sei venuto. Meglio i social». Anche il linguaggio del rimorchio non è più quello di una volta. “Ehi, Tony. Vai forte a letto come sulla pista da ballo?”, chiedeva Connie (una Fran Drescher al debutto) in Saturday Night Fever.
No alle sbronze, sì al futuro
Non mancano questioni legate alla sicurezza. «Fare lo slalom tra ubriachi che ti mettono le mani addosso non è il mio ideale di sabato sera. A casa non devo preoccuparmi che mi versino nel drink la droga dello stupro». Un problema, l’alcol, molto sentito anche da noi, come racconta Alessandra Di Pietro in Il gioco della bottiglia (Add editore). Tra i 18-24enni italiani che vanno in discoteca oltre 12 volte l’anno, il 39,9 per cento dei maschi e il 17,9 delle femmine ne beve più di cinque unità. «L’abitudine di bere fuori pasto cresce fra le donne» osserva Di Pietro. «Nel 2014 lo ha fatto il 37,4 per cento delle 18-24enni. Chi va in discoteca è due volte a rischio di binge drinking, anche se l’ubriacatura molesta è poco tollerata». I nuovi modelli aiutano. «C’è molta pressione sul perseguire stili di vita salutari», racconta una giovane al Guardian. «Anche per aver successo». Così in Germania più del 30% dei teenager non ha mai toccato l’alcol, la fascia 18-25 l’ha ridotto di un terzo.
Perfino i pub mettono ansia
Ragioni anche più profonde fanno dire no alla discoteca. Uscire mette ansia, devi essere al meglio: perfino i pub causano angoscia, confessa un 19enne di York. Molto più rassicurante parlare con gli amici via Facebook o Skype che costringersi a situazioni potenzialmente imbarazzanti. Restare a casa, insomma, per essere in controllo. E non a caso molti citano la reputazione social: il timore di lasciarsi andare, di essere fotografati e poi postati in circostanze e abbigliamento non perfetti.
Meglio latte, biscotti e tv
E poi sono troppo stanchi. Esausti, specie gli studenti. Accusano le generazioni precedenti di edonismo: per loro, una notte a ballare è un vizio scandaloso. «In un mercato del lavoro così competitivo è inconcepibile perdere due giorni tra disco e sbronza, se vogliamo rispettare gli obiettivi che ci siamo imposti», osserva una 20enne. «Meglio latte e biscotti davanti alla tv». Generazione Sbadiglio, li definiva, un po’ ingenerosamente, il Daily Telegraph. «Non è che sono infelici, non sanno divertirsi». Ma anche solenni e compassati, a inseguire le certezze negate loro da terrorismo e recessione. Chiosa una 22enne di Edimburgo: «Buttare i soldi in discoteca? Oggi i giovani si chiedono se potranno permettersi un mutuo, avere figli». Altro che «Per me il futuro è stasera!» di Tony Manero.

John Travolta parla del triste evento che ha segnato la sua vita e non esita a spiegare cosa a lui abbia insegnato: "Mio figlio mi ha dato grande gioia, era tutto per me. Quei 16 anni da padre mi hanno insegnato cosa significhi amare in modo incondizionato (...). La vita è molto breve".
Da qui un consiglio che John Travolta sembra voler dare a tutti, genitori e figli: "Passate del tempo con i vostri genitori e voi genitori passate del tempo coi vostri figli (...) Quello che davvero io ho imparato da tutto ciò è di vivere e amare ogni giorno come se fosse l'ultimo. Perché un giorno lo sarà".

Lo scherzo più gettonato su Youtube divertentissimo
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CAT_IMG Posted on 22/4/2016, 08:42

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CAT_IMG Posted on 22/4/2016, 09:01

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L'invenzione del secolo

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L' estate si avvicina, il sombrero è obbligatorio
 
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CAT_IMG Posted on 26/4/2016, 16:05

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CAT_IMG Posted on 13/10/2016, 08:07

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....bello, anche commuovente, consigliatissimo e piacevole da vedere ... quanti ricordi, GRANDE JUVE !!

www.nexodigital.it/bianconeri-juventus-story/

Bianconeri_LOC

Agnelli (famiglia)
La famiglia Agnelli è una famiglia di imprenditori italiani, celebre soprattutto per la fondazione e dirigenza della FIAT e il sodalizio con la Juventus dal 1923. Numerosi membri degli Agnelli hanno inoltre rivestito ruoli istituzionali: Giovanni Agnelli è stato senatore del Regno d'Italia, Gianni Agnelli venne nominato senatore a vita, Susanna Agnelli ha ricoperto il ruolo di ministro e Umberto Agnelli è stato anch'egli parlamentare.

La famiglia Agnelli è insieme con la Nasi tra i circa 100 soci della Giovanni Agnelli e C. S.a.p.az. .

Storia
Giovanni Agnelli con il nipote Gianni nel 1940
Sino al 1998 la mancanza di studi sulle origini degli Agnelli e sull'esatta collocazione sociale del fondatore della Fiat ha consentito a vari storici di sbizzarrirsi nella formulazione di teorie contraddittorie e infondate. La stessa indisponibilità dell'archivio della famiglia (forse disperso dopo la morte del senatore Giovanni Agnelli, quando la palazzina che egli abitava a Torino, in Via Giacosa, fu trasformata in sede di uffici) ha agevolato i sostenitori delle tesi più fantasiose. Circa i luoghi d'origine, alcuni autori hanno indicato –citando solo alcune delle ipotesi fatte- Venezia, altri Mantova, altri ancora Napoli. Qualcuno addirittura ha fatto rimbalzare la famiglia, nel corso dei secoli, tra tutte queste città, per poi farla risalire a Chieri e approdare, finalmente, in Val Chisone. Con riferimento all'estrazione sociale e alla situazione economica di Giovanni Agnelli, anteriormente alla fondazione della Fiat, le opinioni sono più uniformi.

Nel 1998 un saggio pubblicato dal Centro Studi Piemontesi, di cui alcuni periodici e quotidiani nazionali hanno discretamente pubblicizzato le risultanze, ha ricondotto nell'alveo della realtà storica il percorso genealogico e biografico della famiglia, risalendo nel tempo sino al secolo XVI.

Gli Agnelli sono originari di Racconigi, dove giunsero, con ogni probabilità da Priero, nella prima metà del Settecento, impiantandovi alcune attività di coltivazione dei bachi da seta e filande. Un ramo abbracciò soprattutto le professioni liberali e diede nell'Ottocento medici e giuristi. Un altro ramo sviluppò invece soprattutto le attività imprenditoriali.

Il nucleo del patrimonio degli Agnelli è costituito dall'industria e marcatamente da quella automobilistica (Giovanni Agnelli fu tra i fondatori della FIAT), ma sono molti i settori (dall'editoria al calcio alla finanza) in cui ha delle partecipazioni. In particolare la famiglia controlla la Giovanni Agnelli e C. S.a.p.az. che a sua volta controlla la holding Exor.

Giuseppe Francesco Agnelli
In quest'ultimo ramo si colloca Giuseppe Francesco Agnelli, nato in Racconigi il 25 giugno 1789, il nonno del fondatore della Fiat, al quale spetta anche il ruolo di iniziatore di una sempre più evidente ascesa della famiglia. Poco dopo la Restaurazione egli, residente ormai nella capitale dello stato sabaudo, figura tra i banchieri torinesi (occorre precisare che a Torino col termine "banchiere" erano chiamati non soltanto coloro che si dedicavano alle operazioni e negoziazioni di cambio e di banca, ma anche coloro che si occupavano della negoziazione delle sete gregge, spesso finanziando il lavoro dei filatori ed occupandosi poi di smerciare il prodotto, tanto grezzo quanto lavorato, sia all'interno dello Stato sabaudo, sia sul mercato estero).

https://it.wikipedia.org/wiki/Agnelli_(famiglia)
www.google.it/search?q=famiglia+ag...WICQ&gws_rd=ssl
 
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CAT_IMG Posted on 19/10/2016, 10:23

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In che anno la Panini cominciò a pubblicare l'Almanacco Illustrato del Calcio Italiano?
Nel 1970, la testata, diretta da Luigi Scarambone, fu rilevata dall'editore Carcano. Prima ancora era stata edita dalla Rizzoli e i curatori erano Leone Boccali (lo "storico" giornalista sportivo che ne era stato l'ideatore nel 1939) e De Vecchi (Nunzia Manicardi, Figurine Panini, Storia di un impero industriale, di una famiglia italiana e di un fenomeno di costume, Guaraldi, Modena, 2000).

Quando fu introdotta, per la prima volta, la didascalia plurilingue?
Nel 1970, in occasione dei Mondiali del Messico; fu anche la prima volta che una edizione di figurine fu commercializzata a livello internazionale (Nunzia Manicardi, Figurine Panini, Storia di un impero industriale, di una famiglia italiana e di un fenomeno di costume, Guaraldi, Modena, 2000).

Quale fu il primo album di figurine pubblicato in occasione dei Campionati del Mondo di Calcio?
"Mexico 70", l'album coincise anche con l'ultima edizione dei Campionati del Mondo che mettevano in palio la storica "Coppa Rimet", sostituita, nel 1974, dall'attuale FIFA WORLD CUP.

Quando nacquero le figurine?
La prima serie conosciuta è quella emessa dalla Litografia Bognard di Parigi per i magazzini "Au Bon Marché" nel 1867, che illustra i padiglioni dell'Esposizione Universale che in quell'anno si tenne proprio a Parigi (Nunzia Manicardi, Figurine Panini, Storia di un impero industriale, di una famiglia italiana e di un fenomeno di costume, Guaraldi, Modena, 2000).

Cos'era il "Feroce Saladino"?
Una figurina promozionale stampata nel 1937 per conto della Perugina che, sembra per un errore distributivo, risultò introvabile in buona parte d'Italia, raggiungendo valori da capogiro per l'epoca.

Chi fu "l'inventore" dei Calciatori Panini?
Il comm. Giuseppe Panini, che fondò l'Azienda nel 1961, sulla scia dell'Agenzia Distribuzione Giornali Fratelli Panini (1954). Anche i fratelli Benito (subito) Umberto e Franco (nel 1963), si unirono all'attività. Giuseppe Panini è deceduto il 18 ottobre 1996 all'età di 71 anni.

Quanto costava la prima bustina di Calciatori?
10 lire, e conteneva solo 2 figurine.

Quante bustine della prima collezione Calciatori furono vendute?
3 milioni, che divennero 15 l'anno dopo e 29 il successivo.

Quale fu la prima figurina Panini stampata?
Quella del giocatore dell'Inter Bruno Bolchi.

Quante figurine di Calciatori sono state stampate in 40 anni di storia dell'azienda?
Oltre 20 miliardi. In particolare nell'ultima stagione, quella 1999-2000, è stato prodotto circa mezzo miliardo di figurine Calciatori.

Quante bustine di figurine produce in un anno la Panini?
Mediamente nelle ultime stagioni sono state prodotte 1 miliardo di bustine all’anno, cioé 6 miliardi di figurine!

Quanto vale una raccolta completa della prima collezione Calciatori?
Risultano transazioni per raccolte complete (vale a dire con tutte le figurine, incollate) in ottimo stato, per cifre vicine ai 2 milioni di lire. Un prezzo "standard" è intorno al milione di lire.

Chi era raffigurato sulla copertina della prima edizione dell’album Calciatori?
Nils Liedholm, all’epoca giocatore del Milan e componente del mitico trio d’attacco Gre-No-Li (insieme a Gren e Nordhal).

Cosa rappresenta il calciatore in rovesciata, divenuto il simbolo dei Calciatori Panini?
Si tratta di una rovesciata del giocatore juventino Carlo Parola, scomparso nel Marzo 2000.

Perchè il calciatore in rovesciata, nella sua versione originale, ha maglia rossa, pantaloncini bianchi e calzettoni neri a bordi gialli?
Per non assomigliare a nessuna squadra esistente e quindi rappresentare un po’ tutti i giocatori.

Quale fu la prima collezione di figurine Panini diversa dai Calciatori?
"Aerei e Missili", del 1965, seguita da "Animali di tutto il mondo", edita nello stesso anno.

In quale anno sono state introdotte le figurine adesive?
Le prime figurine adesive sono state introdotte nella stagione 1971-72. All'inizio, le figurine erano in cartoncino da incollare con la coccoina, mentre alla fine degli anni 60 furono introdotte le "celline", triangolini biadesivi da apporre sul retro della figurina per attaccarla all'album.

Perché il marchio della Panini è un lanciere?
Perché Giuseppe Panini era un appassionato di enigmistica, inventava cruciverba ed il suo pseudonimo era, appunto, "paladino". Negli anni 70 fu anche creata una rivista per i collezionisti di figurine Panini con testimonial "Pipino il paladino" ("Pipino" stava per Giuseppe).

Ma esistono figurine rare, stampate in numero più limitato rispetto ad altre?
No. Attualmente ogni collezione è composta da un numero di figurine pari a quelle inserite in uno o due fogli di stampa, fogli di stampa che contengono tutte le figurine una volta e che vengono stampati in ugual numero.

Che cos'è la "Fifimatic"?
E' l'imbustatrice automatica inventata da Umberto Panini: prende le figurine - la cui quantità varia a seconda del programma di lavoro - e le imbusta, poi espelle le scatole già confezionate con le bustine (Nunzia Manicardi, Figurine Panini, Storia di un impero industriale, di una famiglia italiana e di un fenomeno di costume, Guaraldi, Modena, 2000).

( Fonte : Panini.it )

Per maggioni informazioni sui prodotti Panini : www.panini.it/ - wap.panini.it - email: [email protected]


Bisogna distinguere fra le collezioni dei calciatori e quelle delle altre raccolte, dove sono presenti figurine denominate "speciali" xkè contraddistinte da lettere oppure lettere e numeri: queste sicuramente vengono stampate in ugual misura e contemporaneamente rispetto alle altre, anche xkè x la Panini sarebbe troppo dispendioso fare stampe successive della stessa raccolta; la strategia della ditta però è quella di immetterne sul mercato un numero inferiore rispetto alle figurine "normali", in modo da spingere i collezionisti ad acquistare più bustine o a ricorrere obbligatoriamente a ordini di mancanti!
La Panini, inoltre, non fa controlli sui box x garantire che con l'acquisto di una intera scatola si possa completare un album....controlli che invece vengono fatti da altre ditte (vedere x esempio la TOPPS oppure la Pizzardi) che garantiscono il completamento di una collezione con l'acquisto di un solo box nella quasi totalità dei casi (informazioni ricevute telefonicamente in prima persona dal servizio clienti delle ultime ditte citate).

Per quanto riguarda i calciatori pare che intorno agli anni 70 una figurina di un determinato calciatore fu considerata davvero "rara" x un errore di distribuzione della ditta che non la inserì nelle bustine destinate alle rivendite del sud italia.....
Forse qualcuno più esperto in questo campo potrà citare il nome del giocatore, la squadra di appartenenza e l'anno della raccolta.......
 
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CAT_IMG Posted on 20/10/2016, 15:48

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