| “Creuza de mä" (pubblicato nel 1984) nasce da un vecchio progetto di Mauro Pagani (ex PFM), l'idea di introdurre un po' di “mediterraneità” nel panorama della musica anglosassone, che dominava il mercato degli ultimi trent'anni (riferiti al 1984); quando Mauro Pagani incontra Fabrizio De André scopre che anche lui aveva in mente un progetto simile e prende forma piano piano “Creuza de mä“. Vengono utilizzati molti strumenti della tradizione popolare mediterranea, nordafricana, balcanica e mediorientale; rispetto al progetto iniziale però vengono scartate le varie lingue mediterranee (napoletano, siciliano, catalano, arabo, francese ecc.) e scelto il dialetto genovese, che già comprende circa 1200 parole derivate dall'arabo e molte altre da altre lingue mediterranee. Inoltre il genovese è una lingua più adatta dell'italiano alla poesia in musica, perché molto ricca di parole tronche. Il brano omonimo apre il disco sulle note dell’assolo di gaita, uno strumento simile ad una cornamusa o alla nostra zampogna, forse di origine latino-spagnola, ma che in questo caso ruba le note alla Tracia. Poi parte il canto, che anche se non è di facile comprensione è fonte di grandi suggestioni sonore. Il titolo fa riferimento alla creuza, termine che in genovese significa "sentiero" o "viottolo", ossia un percorso simile ai caratteristici caruggi del centro storico di Genova, o del suo retroterra. La locuzione creuza de mä nel genovesato definisce una mulattiera, talvolta a scalinata, una specie di stradina collinare che delimita i confini di proprietà e porta verso il mare. La traduzione è quindi "mulattiera di mare". Un'altra interpretazione riferisce la creuza a un preciso fenomeno metereologico del mare, che, sotto i vortici del vento, assume striature contorte argentate o scure, simili a fantastiche strade da percorrere. Si dice infatti “prendere per i viottoli del mare", intendendo la possibilità, o la necessità, di scegliere la via, intraprendere un viaggio, reale o ideale. “Creuza de mä" parla dei marinai che tornano dal mare, un posto dove la luna si mostra nuda, e vanno nella taverna dell'Andrea a mangiare svariati cibi tipici della cucina genovese, di cui evoca odori e profumi. Il testo mostra la rassegnazione di chi è costretto a un viaggio senza fine, un viaggio-condanna in cui le soste, talvolta rituali e ripetitive, sono fonte di frustrazione e occasioni per ubriacarsi. “Creuza de mä" si conclude con i rumori e le voci del mercato del pesce di Piazza Cavour a Genova, registrati in presa diretta.
Tra le varie parole derivate da altre lingue, compare nel testo la parola Mandillà, che si riferisce al "mandillo", parola genovese che deriva dal greco "mandìlion" e dall'arabo "mandil" e indica un fazzoletto, un tovagliolo, un pezzo di stoffa più o meno di quella dimensione. In questo caso mandillà ("fazzolettati") indica i tagliaborse, cioè “rapinatori” che si coprono il volto col fazzoletto per non farsi riconoscere.
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